venerdì 27 novembre 2009

Tagli e dettagli ( Articolo di Eugenio Benetazzo )


L'articolo che segue è ad opera dell'operatore di borsa indipendente, Eugenio Benetazzo. Articolo pubblicato sul suo sito web.

Quando nel 1994 Amy Whitfield scalava le classifiche musicali internazionali con il suo "Saturday Night" ed imperava la cultura del disco entertainment degli anni 90, allo stesso tempo il nostro paese raggiungeva il suo picco di massimo splendore per quanto concerneva il benessere economico alimentato da uno sviluppo e successo industriale che proprio in quell'epoca ostentava il suo massimo slancio evolutivo. Ricordo molte bene quel periodo, frequentavo da qualche anno l'università ed al tempo stesso mi dilettavo come dee jay negli house club: rammento ancora come tutti noi giovani "discotecari" sognavamo un giorno di poter possedere o gestire un locale da ballo (e sballo) tutto nostro, vedendo gli incassi e le migliaia di persone che vi gravitavano ad ogni serata. Sono passati appena quindici anni e quel periodo ormai è un ricordo di un passato che non rivedremo mai più.

Dalla metà degli anni 90 per l'Italia è iniziato infatti un lento processo di declino industriale: sono stati fatti entrare a frotte milioni di extracomunitari con il solo scopo di consentire ai grandi gruppi industriali di poter abbassare i costi di manifattura (grazie a persone disperate disposte a lavorare con retribuzioni minori rispetto agli italiani), di lì a poco è stato introdotto il lavoro interinale come soluzione per "snellire" l'attività di impresa che in poco tempo ha fatto nascere una nuova fascia sociale, quella dei precari, infine si è dato inizio ad una lenta opera di deindustrializzazione aiutando gli industriali a smantellare le loro aziende per spostarle al di fuori dei confini italiani e decretando così la fine di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Quando sta accadendo in questi ultimi 18 mesi non può essere definito genericamente come semplice crisi, come ci vogliono far credere i media tradizionali con il loro gracchiante vociferare, quanto piuttosto come una vera e propria emergenza che sino ad oggi ha manifestato solo il primo dei sue tre aspetti, ovvero quello finanziario.

Adesso dovranno arrivare le altre due sfacettature, quella industriale e quella sociale, entrambe legate da questo scellerato ed osannato modello economico imposto dal WTO in cui tutti i paesi occidentali hanno dovuto lentamente e progressivamente regalare le loro produzioni ed i loro ordinativi industriali alle nuove aree emergenti di questo millennio, così facendo si sono create le condizioni sociali ed industriali per una impensabile sperequazione. L'Inghilterra regna sovrana su questo, il modello thatcheriano (privatizzazioni e dismissioni forzate dei gangli strategici della nazione) sta dimostrando come l'eccesso di liberismo economico produca l'esatto opposto di quello che aveva promesso. Gli USA che sono stati il primo paese a delocalizzare (con Messico ed India) hanno pagato il conto con la loro stessa solidità finanziaria. Per chi non lo avesse ancora compreso i mutui subprime sono detonati perchè lentamente sono stati bruciati milioni di posti di lavoro e persone che avevano contratto precedentemente debiti per vivere non sono più stati in grado di ripargarli (la FED poi ci ha marciato accellerando il processo di polverizzazione finanziaria).

Ormai dovremmo parlare di una mutazione genetica per il nostro tessuto socioeconomico: il turbocapitalismo ci sta presentando i conti. E siamo appena agli inizi. Chi continua a profetizzare la fine di questa cosidetta "crisi" temo che non abbia veramente ancora compreso che cosa stia accadendo. L'Italia è un paese manifatturiero (per quello che rimane) ed esportatore, questo significa che per esserci veramente ripresa questa deve realizzarsi al di fuori dei nostri confini, consentendo alla nostra economia di seguire a traino. Tra meno di quindici anni saremo catapultati al quindicesimo posto su scala planetaria, non saremo più un paese industrialmenete rilevante, ma uno stato depresso in lento e silenzioso declino. Direi proprio silenzioso perchè di giovani a gridare ce ne saranno sempre meno: sempre tra quindici anni oltre il 40 per cento della popolazione avrà un'eta superiore ai sessant'anni. Da Bel Paese un tempo, presto saremmo denominati come il cimitero degli elefanti. La contrazione della capacità produttiva industriale che si è verificata in questi ultimi mesi ci ha proiettati ai livelli di produttività di oltre quindici anni fa (non penso che si riuscirà mai più a recuperare questi livelli).

Il futuro è piuttosto delineato, chi è vecchio vivrà con quei quattro soldi messi da parte e chi è giovane si troverà a doversi inventare la vita di tutti i giorni, lavorando a missione e a singhiozzo: già tra cinque anni almeno 1/5 se non 1/4 delle aziende italiane si estinguerà o si ritirerà dal mercato, lasciando un profondo vuoto a livello occupazionale. Non dimentichiamo inoltre come le pesanti situazioni di default finanziario che stanno vivendo le imprese italiane presto si riverserà proprio sui bilanci delle stesse banche che adesso (grazie alle strepitose opere di privatizzazione riguradanti appunto lo stesso sistema bancario italiano) continuano a dettare legge su chi vive e chi dovrà estinguersi. Chi pensa di replicare il modello inglese per assorbire gli esuberi occupazionali, puntando quindi tutto sul terziario (settore dei servizi) probabilmente si è laureato per corrispondenza in Economia Davanti e Commercio Dietro presso l'Università per Barbieri. A livello nazionale non vi è una forza politica che si faccia portavoce di esigenze di protezionismo nei confronti dei nostri gloriosi ed invidiati distretti industriali, l'unica risorsa che avevamo ovvero la distintività ed originalità della manifattura italiana è stata brutalmente sacrificata per permettere a paesi come la Cina di assorbire, copiare e far morire le nostre tipiche produzoni, diventando nel frattempo la grande fabbrica del pianeta. A mio modo di vedere l'unica salvezza potrebbe essere un incredibile e improvviso cambio di governance politica che faccia emergere un "tribuno del popolo" stile Lula in Brasile, che contrasti e metta fine a questo dictat economico che sta portando il paese al suicidio industriale, sociale ed economico.



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giovedì 19 novembre 2009

Ci rimane soltanto l'aria ( articolo di Antonio Scurati - La Stampa.it )

Articolo tratto da ComeDonChisciotte, che a sua volta lo ha preso dal sito del quotidiano La Stampa.

Cosa succede se la globalizzazione raggiunge il rubinetto di casa

Nessun uomo è tanto pazzo da vendere la terra su cui cammina. Così, stando alla leggenda, il grande capo indiano avrebbe risposto al negoziatore bianco che gli offriva la scelta tra la guerra di sterminio e l’acquisto delle terre ataviche della sua tribù. Che cosa direbbe oggi quel capo indiano di noi che, dopo aver fatto ovunque commercio della terra su cui camminiamo, ci apprestiamo a venderci anche l’acqua che beviamo?

Niente direbbe, il fiero guerriero, perché, al pari di ogni altro ostacolo locale, fu spazzato via dalla storia che, è bene non dimenticarlo, è stata sempre storia del processo unilaterale attraverso il quale l’Occidente, esplorando, conquistando e colonizzando, ha globalizzato la terra unificandola in un sistema mondo interamente governato dalla legge del capitalismo. Ora che quella grande impresa è compiuta, ora che la fase di espansione è terminata, ora che l’auto-narrazione in cui si racconta di come il pianeta Terra divenne una sfera interna alla logica del capitale è giunta alla fine, ora non rimane che lavorare sulle condizioni di vita all’interno della grande serra planetaria del capitalismo avanzato. Questa nuova frontiera interna che avanza senza soste ha un nome preciso: privatizzazione della vita.



Rientra in questo quadro epocale anche la notizia secondo la quale in Italia, remota provincia dell’impero, il governo sarebbe pronto ad appaltare a privati il servizio di erogazione dell’acqua, che smetterebbe così di fatto di essere un servizio pubblico, trasformando l’approvvigionamento idrico, cioè l’accesso a una fonte basilare della vita, in una qualsiasi merce. In linea concettuale, infatti, anche questo sarebbe un ampio passo verso la privatizzazione della vita: l’acqua smetterebbe di essere qualcosa cui tutti noi abbiamo diritto inalienabile per il semplice fatto di stare al mondo, una dotazione comune d’ingresso, come l’aria che respiriamo, e diverrebbe un bene voluttuario diversamente accessibile in base alla nostra individuale capacità di spesa. Ecco, dunque, un altro esempio della regola della deprivazione che sembra governare i destini degli uomini in questo nuovo scorcio di millennio: a ogni nuovo giro di giostra, man mano che il «pubblico» diventa «privato», ci viene sottratto ciò che è necessario per vivere o, almeno, ciò che fino a una generazione precedente era stato considerato un diritto naturale e inalienabile. La privatizzazione della vita agisce simultaneamente su due versanti, contigui e interconnessi come le due facce di un'unica moneta. Su un versante si procede a privatizzare la proprietà non più solo dei mezzi di produzione ma anche dei mezzi di sussistenza della vita della specie, sull’altro si mette in scena la riduzione della vita sociale a fatto privato.

Sul primo versante accade che, in un quadro globale di progressivo impoverimento delle risorse naturali, di cambiamenti climatici che rischiano di mettere fine al lussureggiare della vita planetaria e di fosche previsioni sull’aumento della popolazione mondiale, il controllo sui beni basali per l’esistenza, sulle condizioni di sopravvivenza, e finanche sulle matrici di riproduzione della vita biologica, viene via via affidato a soggetti d’impresa, cioè a privati mossi dalla logica del profitto e, spesso, da intenti speculativi. È il caso del controllo delle risorse idriche, delle biotecnologie in agricoltura, ma è anche il caso della privatizzazione della guerra subappaltata a contractors privati, della privatizzazione della ricerca medico-scientifica e, sopra ogni altro, è il caso della ricerca sul genoma umano condotto da privati. Il secondo versante, meno serio ma non meno preoccupante, è quello della trasformazione della politica in talk show, un osceno teatrino di faccende un tempo confinate nella vita privata che ha l’effetto di svilire, fino all’annichilimento, la nozione di «pubblico interesse». Il «pubblico», come ci ha insegnato Bauman, è così svuotato dei suoi contenuti, privato di un’agenda propria: è solo un agglomerato di guai, preoccupazioni e problemi privati. È l’eclissi della politica, un tempo intesa come possibilità di fare uso di mezzi collettivi per affrontare i problemi individuali. È anche la fine del sentimento di comunità. E, con esso, la fine del principio di un bene comune.

Da entrambi i lati dello schermo televisivo, la collettività scade ad aggregato di agenti individuali, le esistenze a questioni private. La lezione che si ricava da questa rappresentazione che rimodella la nostra capacità di pensare il mondo in comune è che ciascuno può solo lodare se stesso per i propri successi o, più probabilmente, incolpare se stesso per i propri fallimenti. Tutti gli individui assistono al grande talk show della vita privatizzata soli con i loro problemi e, quando lo spettacolo finisce, si ritrovano sprofondati nella loro solitudine, immersi nel buio di una stanza in subaffitto davanti a un televisore sintonizzato su di un canale morto.

Antonio Scurati
Fonte: www.lastampa.it/
Link: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6637&ID_sezione=&sezione=
19.11.2009

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

Antonio Scurati (Napoli, 1969) è uno scrittore italiano.
Docente e ricercatore all'Università di Bergamo, coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Sempre presso l'Università di Bergamo insegna Teorie e tecniche del linguaggio televisivo. Nel 2005 Scurati diviene Ricercatore in Cinema, Fotografia, Televisione. Nel 2008 si trasferisce alla Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, dove svolge l'attività di ricercatore e docente titolare nell'ambito del Laboratorio di Scrittura Creativa e del Laboratorio di Oralità e Retorica.
Ha pubblicato il saggio Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale (2003, finalista al Premio Viareggio). Il suo romanzo Il Sopravvissuto (Bompiani, (2005) ha vinto la XLIII edizione del Premio Campiello.
Nel 2006 è stato pubblicato in una nuova versione il suo romanzo d'esordio, Il rumore sordo della battaglia.
Nel 2006, presso Bompiani, è uscito il saggio "La letteratura dell'inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione": una riflessione su media, dadaismo, letteratura e umanesimo. Collabora con il settimanale Internazionale e con il quotidiano La Stampa.
Nel 2007 viene pubblicato Una storia romantica. Nello stesso anno realizza per Fandango il documentario La stagione dell'amore, un film che indaga sul tema dell'amore nell'Italia contemporanea riprendendo l'inchiesta realizzata nel 1965 da Pier Paolo Pasolini in Comizi d'amore. [1]
Nel 2009 ha pubblicato "Il bambino che sognava la fine del mondo". Un romanzo che descrive impietosamente la fame di tragici eventi che hanno i mass-media e il mondo dell'informazione in generale.

sabato 14 novembre 2009

La lunga ombra degli RFID ( articolo di Marco Cedolin e Alba Kan )


L'articolo che segue è ad opera di Marco Cedolini e Alba Kan. Tratto dal blog di Marco Cedolin.

Sempre più spesso negli ultimi anni le parole chip o R-Fid (la sigla significa Radio Frequency Identification Devices) stanno entrando prepotentemente nelle nostre vite, spesso passando dal buco della serratura, contenute nell’ambito di progetti ed iniziative apparentemente innocue e finalizzate a migliorare la qualità della nostra vita. La questione risulta comunque ancora sconosciuta ai più e viene spesso relegata nel novero degli argomenti di natura fantascientifica trattati dai “complottisti”, nonostante questi piccolissimi oggetti super tecnologici siano oramai ovunque e negli ultimi anni ci sia stata una vera e propria invasione, riguardo alla quale non siamo stati informati, costringendoci di fatto a subire l’imposizione di qualcosa che non conosciamo.

Il chip RFID è sostanzialmente una tecnologia utilizzata per l' identificazione di oggetti, animali o persone attraverso la radiofrequenza, basata sulla capacità di memorizzare e accedere a distanza a dati usando dispositivi elettronici detti TAG. Si tratta di un sistema di lettura "senza fili"che è costituito da un microchip contenente dati (tra cui un numero univoco universale scritto nel silicio), e da un lettore, una o più antenne per inviare il segnale di lettura e ricevere le risposte, e uno o più Tag RFID.
I chip RFID si dividono in attivi o passivi, i primi sono dotati di minuscole batterie che li rendono energeticamente autonomi, i secondi non possiedono fonti di energia proprie e vengono attivati attraverso un lettore di RFID che dona loro energia. Naturalmente, nonostante si tratti di una tecnologia in continua evoluzione gli RFID attivi sono più costosi ed “ingombranti” rispetto a quelli passivi, ma si prestano ad un maggior ventaglio di utilizzazioni. Un RFID passivo tradizionale è grande meno della metà di un francobollo ed ha lo stesso spessore di un foglio di carta. I modelli tecnologicamente più avanzati hanno però già raggiunto dimensioni estremamente più piccole, arrivando alla grandezza di un granello di sabbia ed è già possibile inserirli all’interno dell’inchiostro utilizzato per stampare, riducendoli in questo modo alla grandezza di un puntino di sospensione e rendendoli di fatto praticamente invisibili. Anche le dimensioni ed i costi degli RFID attivi stanno comunque riducendosi progressivamente, attraverso l’utilizzo di batterie sempre più microscopiche ed economiche.

Nessun cittadino conosce la portata dell'invasione di questi dispositivi, dal momento che la diffusione degli RFID sta avvenendo sottotraccia e proprio per questa ragione nessuno si domanda se possano essere pericolosi per l'uomo o per gli animali. L'unica cosa certa è che l'industria degli RFID sogna di installare tali lettori praticamente in qualsiasi oggetto di questo pianeta, a partire da tutti i prodotti commerciali che giornalmente acquistiamo all’interno dei supermercati, dalle lattine di coca cola ai rossetti, dai prodotti di abbigliamento a quelli per la pulizia della casa. Dopo essere già riuscita a diffonderli in una svariata serie di strumenti di uso comune, basti pensare ai bancomat, alle carte di credito ed alla tecnologia telepass.
Il tutto con l'aiuto dei media che sono deputati ad enfatizzare i presunti benefici dell’operazione, sottacendo completamente i rischi sia nell’ambito della privacy, sia per quanto riguarda la salute dei cittadini. L’applicazione della tecnologia RFID non si limita oltretutto all’ambito commerciale (spazio all’interno del quale è stata presentata come innocuo strumento di gestione dei magazzini) ma abbraccia ed abbraccerà molti altri campi come quello sanitario e quello militare. Oltre al ministero della Difesa statunitense sono molte le multinazionali che a vario titolo si sono fino ad oggi manifestate interessate all’uso della tecnologia RFID, fra esse si possono annoverare colossi quali IBM, Wal – Mart, Tesco, Gilette, Procter & Gamble, Metro, Benetton e molti altri.

In molti ospedali Usa, ai malati di Alzheimer è stato impiantato un microchip, perchè "così non si perdano quando vagano senza una meta". Alla TV si vedono scene commoventi di bambini che hanno trovato il proprio cagnolino smarrito, grazie all'impianto RFid, ma non si parla mai dei casi in cui gli animali sono morti a causa di questi impianti, oppure sono rimasti paralizzati.
Qualche anno fa l'agenzia Associated Press ha riportato uno studio del 1996 effettuato sui topi dalla tossicologa Keith Johnson che imputava all'impianto di microchip l'insorgenza di tumori maligni in rapida crescita sui roditori.
Secondo alcuni esperti l'impianto sottocutaneo di un RFID, tramite la semplice iniezione, agli animali e come sta già succedendo in alcune nazioni, anche nell'uomo, provoca il cancro, non ci sono ancora dati certi, ma nel dubbio non è meglio fare una seria sperimentazione?

In Europa alcuni ricercatori hanno confermato che la radiazione elettromagnetica (nota come energia EMF) emessa dai lettori RFID (e anche dai cellulari), causa danni al DNA umano.
Lo studio "Reflex", finanziato dall'Unione Europea, e che è durato ben 4 anni, ha scoperto che "le cellule esposte alle EMF hanno mostrato un significativo aumento delle rotture del DNA sia al singolo che al duplice filamento".
"Il danneggiamento resterebbe in eredità alla generazione successiva di cellule".
Vista l'attuale invasione di lettori RFID, è molto difficile evitarli.

E in Italia? A che punto siamo?

Anche qui è in atto una campagna propagandistica rivolta a sottolineare benefici e nascondere i rischi. Il pretesti migliori anche in questo caso sono costituiti dalla sicurezza e dalla salute, e quest'ultima visti i numerosi casi di malasanità in Italia automaticamente rientra nella questione "sicurezza". Per l'ospedale Niguarda Ca' Granda di Milano, dei braccialetti con RFID sono la soluzione agli "errori medici", così nel 2006 inia ha portato avanti una sperimentazione con Intel, per "la realizzazione di un progetto destinato a migliorare la qualità delle cure e del rapporto medico-paziente e a prevenire errori medici e chirurgici". Suona bene come spot, ma ricordiamoci che i casi peggiori di malasanità in Italia sono dovuti a diagnosi ed interventi sbagliati di medici non abbastanza preparati, non di certo alla somministrazione di medicinali sbagliati.
Un altro esempio di sperimentazione negli ospedali è il progetto "Quo Vadis" nel comune di Lavagno (VR), un ecomostro (ovviamente privato) che di per se è poco salutare, vista la distruzione della collina dove sorgerà, ma sarà anche un' "ospedale virtuale", i volontari che si sottoporranno ai test indosseranno un bracciale, una maglietta, un microchip, che registreranno ovunque si spostino, pressione venosa, arteriosa, equilibrio metabolico e temperatura corporea, tutto controllabile ed accessibile 24h su 24 via satellite!

Gli RFID si stanno insinuando anche nelle scuole, nel 2006 nell 'Istituto Tecnico Industriale Statale Vittorio Emanuele Marzotto a Valdagno (VI) è stato avviato un progetto scolastico per la creazione di un sistema in grado di rendere i processi scolastici di registrazione delle presenze, dei voti. Attraverso la tecnologia RFID vengono gestiti gli accessi al sistema e le presenze degli alunni vengono automaticamente registrate dalle applicazioni all'ingresso a scuola. Sparirà il vecchio appello fatto dai professori al mattino, e forse sparirà anche il compito di educare i ragazzi alla responsabilità verso i loro compiti, ad esempio quello di andare a scuola?
Un ragazzo che non marina la scuola lo farà per senso di responsabilità o per paura del chip che lo controlla?

Abbiamo un RFID anche per non smarrire il bagaglio (come il cane?) in aeroporto. A metà luglio Alitalia e Aeroporti di Roma hanno firmato un accordo che prevede una nuova tecnologia per i terminali di Roma Fiumicino.
E anche le Ferrovie dello Stato, note per la propria scarsa credibilità e per la propensione a dissipare in progetti inutili il denaro pubblico, non sono da meno riguardo a nuovi accordi per nuove sperimentazioni, che se non giovano ai cittadini, di sicuro giovano alle tasche di qualcuno.

I Chips più propagandati e anche più diffusi sono di sicuro quelli delle carte di credito,
lo spot di tutte le banche è pressoché lo stesso "garantiscono una maggiore sicurezza nei pagamenti e nei prelievi di denaro contante", "assicurando ai clienti il più elevato livello di sicurezza", come tra l'altro prevede la normativa europea Sepa che sarà obbligatoriamente adottata (cioè imposta) per tutte le nuove carte a partire dal 2011.
Ma le carte con microchip sono già milioni, Visa, Mastercard, American Express le hanno già lanciate sul mercato e in Italia anche Poste Italiane, ha il suo progetto in atto: Postepay Postemobile, che pubblicizza i pagamenti veloci.

Non è il caso di informarsi e stare attenti? Dai nostri vicini di casa in Francia, sono già stati presentati nel 2003, i "Chip sottopelle per pagamenti veloci", secondo la propaganda di chi vuole piazzarli sul mercato "il grande vantaggio di un RFID di questo tipo è nella sicurezza, perché se una card o un altro oggetto per pagamenti dotati di RFID può essere perduto, VeriChip si trova invece sempre e comunque con il suo legittimo proprietario". Invece secondo l' associazione per la privacy nell'era digitale,EPIC quando una carta di credito viene rubata, tutto quello che uno deve fare è chiamare l'azienda che l'ha rilasciata. In questo caso se qualcosa va storto invece che alla banca ti chiedono di rivolgerti ad un chirurgo. Non ha senso passare da una carta, controllata dall'individuo, ad un chip che non può essere controllato".


Il punto è che oggi è già stato ampiamente dimostrato quanto una carta di credito con chip sia tutt'altro che sicura. Tutte le carte di credito con Rfid possono essere clonate come quelle vecchie. Tutti i dati contenuti negli Rfid di carte di credito, passaporti e carte d'identità possono essere letti anche a distanza utilizzando lettori con antenne amplificate, e a quel punto clonare non è un problema.
Il Parlamento europeo ha approvato una modifica al regolamento sul passaporto digitale: oltre alla foto digitale, già prevista dal 2006, il documento dovrà contenere due impronte digitali. Le nuove disposizioni vengono applicate a partire dal 28 giugno 2009.
Alessandro Bottoni, esperto di nuove tecnologie, nel suo blog ha illustrato alcune tecniche, in parte già messe a segno, che consentono proprio di sottrarre dati riservati ai dispositivi dotati di sistemi biometrici e di clonare passaporti e simili.
In Italia in alcune regioni è già stata avviata a sotituzione dei passaporti, con quelli nuovi dotati di Rfid.

Ed è interessante focalizzare l’attenzione sul bombardamento mediadico che stiamo subendo riguardo al digitale terrestre.L’operazione viene presentata come una nuova opportunità, ma in realtà si rivela una vera imposizione, dal momento che nessuno può rifiutarla!
L’uso crescente di RFID necessita di un maggiore e crescente uso della banda UBF-UHF, a questo scopo negli Stati Uniti, ma come ben possiamo vedere anche in Italia, si sta attuando un progetto per l'abbandono delle frequenze UHF-VHF entro il 2009, e stiamo riscontrando giorno dopo giorno come le regioni man mano stiano passando al digitale terrestre, tanto pubblicizzato da alcuni mesi.
Tutto questo perchè i chip Rfid, funzionano con la banda UHF e VHF, fino ad oggi sovraccarica di segnali televisivi che interferirebbero con un uso massiccio della tecnologia RFID. E’ interessante a questo proposito leggere ciò che ha rivelato Patrick Redmond, che ha lavorato in IBM per 31 anni.

Negli Stati Uniti sono circa 800 gli ospedali che mettono chip ai loro pazienti, 4 ospedali di Puerto Rico hanno impiantato chip al braccio di malati di Alzaimer, per la modica cifra di 200 $.
E se qualcuno pensa che la cosa non ci riguardi, si sbaglia.
Dal 4 novenbre infatti all'Ospedale Bambin Gesù di Roma è stato dato il via ad un insolito esperimento, avente per oggetto 200 pesone, tra infermieri, pazienti e visitatori che indosseranno per una decina di giorni circa, dei Chip, deputati a registrare la loro posizione e i loro contatti. L' esperimento in anteprima mondiale ha lo scopo di "misurare" come la vicinanza tra le persone influisca sulla diffusione delle malattie, in particolare quelle a trasmissione aerea e le infezioni ospedaliere.
I ricercatori dell'Institute of Scientific Interchange (ISI) di Torino, e l'Istituto Superiore di Sanità (ISS), assicurano che tutto è stato pianificato nel rispetto delle norme sulla privacy e che la scarsa potenza dei chip non provocherebbe nessun inquinamento elettromagnetico, ma al contrario tutto lascia supporre che un rischio per la salute umana esista.
Cosa succederà quando saremo invasi da milioni di microchip, per i quali ci stanno obbligando a comprare un decoder? E quali strumenti avrà il cittadino per riuscire a reagire ad una tecnologia dalle potenzialità sconosciute, diffusa mistificando la realtà, magari utilizzando come veicolo ideale per il suo sdoganamento proprio la campagna di terrore creata ad arte attraverso la pandemia dell’influenza suina?


P.S.
Aggiungo, al termine di questo articlo, un consiglio di lettura:

SpyChips , edito da Arianna Editrice

mercoledì 11 novembre 2009

Crisi Economica: finita o appena iniziata ? ( Video con Eugenio Benetazzo )



Qui sopra l'ultimo video, in ordine di tempo, pubblicato sul canale YouTube dell'operatore di borsa indipendente, Eugenio Benetazzo.


lunedì 2 novembre 2009

Influenza suina ( DECIMA PARTE) ( Pubblicità statunitense del 1976 sull'influenza suina! )

Come già si sapeva, nel 1976, negli Stati Uniti d'America, si verificarono sporadici casi di influenza suina. Il problema, però, che a far danni furono i vaccini.
A distanza di 33 anni, ci riprovano.

Qui sotto un insieme di spot pubblicitari dell'epoca tratti dal sito YouReporter.it.

Buona visione.