mercoledì 7 luglio 2010

Due articoli tratti da Rinascita


Articolo di Vittoriano Peyrani



Osservando i fatti si devono prevedere peggioramenti continui ed inarrestabili della crisi economica al contrario delle previsioni ottimistiche dell’informazione ufficiale.
Si legge e si sente dire abbastanza spesso che siamo giunti al punto più grave della crisi e che da ora in poi la situazione economica comincerà a migliorare.
Si citano i cosiddetti “fondamentali” che sono i parametri finanziari, della produzione, del commercio e dei servizi; si parla dei titoli di Borsa e si cerca di infondere buone speranze consigliandone l’acquisto perché sarebbero estremamente sottovalutati e quindi dovrebbero presto risalire.
Questo è quanto affermano gli stessi economisti che hanno dimostrato di non saper prevedere, capire e comunicare l’arrivo e i motivi che hanno portato l’economia a questo punto.
Ma se si guarda attentamente quanto sta avvenendo si deve concludere che il peggio deve ancora arrivare e continuerà indefinitamente ad avanzare.
Vediamo di esaminare le ragioni di fondo che inducono a non prevedere cambiamenti positivi.
Non vi è dubbio che la crisi è stata scatenata o volutamente o incautamente dalla speculazione internazionale.
La seconda ipotesi sarebbe la più grave perché ci porterebbe a concludere che siamo nelle mani di persone poco capaci che gestirebbero dilettantisticamente un potere che incide sul benessere, sulla libertà e sulla vita di milioni di abitanti del pianeta. Si dovrebbero avere grossi timori se si trattasse di incoscienza, di incompetenza, di incapacità di coloro che dovrebbero decidere l’uso e il movimento di imponenti quantità di risorse con il dubbio che le potessero disperdere, disorganizzare, distruggere per errore.
Sarei più propenso a pensare che si tratti di un’operazione a vasto raggio dei più grandi poteri finanziari tendente all’appropriazione di capitali e di proprietà della finanza intermedia, delle popolazioni, degli Stati (privatizzazioni).
Il secondo motivo del pessimismo è il fatto che i comportamenti degli uomini politici non promettono niente di buono e che non è stato posto da questi alcun freno alla finanza bancaria internazionale. Questa, spostando a proprio piacimento capitali in grande massa, può continuare ad operare contro gli Stati europei, così come è successo per la Grecia e potrebbe succedere domani per l’Italia senza preavviso di sorta.
I bene informati dicono che le banche che contano stanno facendo incetta strisciante di buoni del tesoro di altri Stati europei. La stessa cosa era avvenuta per la Grecia come prodromo al quasi fallimento delle finanze di quello Stato. Il governo si è poi trovato, subito prima del rinnovo alla scadenza dei titoli, di fronte a una svendita al di sotto il valore nominale di buoni del tesoro nazionali concordata tra le banche. Questo ha allontanato i compratori. Si è così costretta la Grecia ad affidarsi all’usura delle banche internazionali prevalentemente anglo-americane. La Grecia, che non poteva pagare il proprio debito, non si potrà salvare aumentandolo e aumentando i conseguenti interessi: ha pertanto solo rimandato la resa dei conti, probabilmente aggravandola. Meglio avrebbe fatto a comportarsi come l’Argentina che ha concordato la restituzione del 20 per cento del debito, avendo la speculazione guadagnato abbastanza con tassi usurai fino al 17 per cento: prendere o lasciare.
Si fa notare che i guadagni di queste speculazioni non discendono dal mondo della Luna ma sottraggono ricchezze alle popolazioni.
I frequenti alti e bassi delle Borse non danneggiano sicuramente la casta borsistica apolide, ma solo gli ingenui investitori che si aspettano un rialzo secondo quanto affermato falsamente dalla informazione specializzata e non.
La tecnica è quella di vendere, senza parere, prima dei ribassi, mentre l’informazione sostiene i titoli con notizie roboanti o tranquillizzanti, e ricomprare a ribassi avvenuti, causati questi ultimi dalla diffusione di panico con speciosi allarmi sulla stampa. Si guadagnano così i miliardi di euro della differenza fra le vendite, a prezzi pieni, e i riacquisti a prezzi ribassati. Ecco dove sono andati a finire i miliardi cosiddetti “bruciati” in borsa! Il danno viene rigettato sul “parco buoi”, sui risparmiatori tenuti all’oscuro di queste manovre concordate, in sostanza su tutta la società che non ne può trarre evidentemente alcun beneficio.
Queste affermazioni faranno inorridire i membri della vecchia scuola economica classica che hanno studiato che le vendite creano ribassi mentre gli acquisti danno luogo a rialzi ma evidentemente ciò non avviene così semplicisticamente nella realtà. Gli speculatori di borsa non si lamentano, infatti, di perdere per questi continui movimenti delle quotazioni.
Connesso a quanto detto sopra è il fatto che chi possiede capitali non si mette certo ad organizzare impianti produttivi, superando rischi di bilancio, difficoltà tecniche ed amministrative, rapporti con la burocrazia (che si è preso un potere tale che spesso può essere superato solo con forme di corruzione), regolamenti cervellotici, oscuri ed al tempo stesso meticolosissimi. Di questi i funzionari e gli impiegati si arrogano il diritto di interpretazione caso per caso, stante la mancanza di ogni controllo.
Si preferisce investire in valute, oggi nel dollaro, ben sapendo che la linea di questa moneta è al rialzo e resterà tale per molto tempo ancora perché coloro che controllano i valori monetari a proprio piacimento vogliono ancora guadagnare con questo meccanismo monetario e sostenere comunque il sistema del dollaro a loro favorevole.
A chi decide non importa nulla della disoccupazione e del tenore di vita generale, anzi questi possono essere occasione di abbassamento dei propri costi e quindi di ulteriore lucro.
Secondo quanto si afferma da ogni parte i costi di produzione dell’industria cinese si aggirano sul quindici per cento dei nostri. In India, in Indonesia ed in altri paesi in via di sviluppo il costo del lavoro è molto più basso del nostro.
Con il movimento libero delle merci e dei capitali la conseguenza ovvia è la fuga delle industrie dall’Europa e la delocalizzazione in questi paesi dove si può guadagnare molto di più per gli infimi costi di una manodopera selvaggiamente sfruttata.
La deindustrializzazione dell’Italia e dell’Europa è l’inizio di una catena di fenomeni che porteranno miseria a tutti. Nessuno però se ne preoccupa più che a parole e non si prendono provvedimenti seri al proposito.
Da molto è già cominciata la chiusura delle aziende con le conseguenti mancanza di lavoro e disoccupazione: si verifica poi il calo dei consumi e dell’introito fiscale, le difficoltà di mantenere lo Stato Sociale e gli aiuti alle famiglie ed alle persone più bisognose. Inizialmente si allarga la forbice dei redditi sul modello americano, dove i più poveri stanno forse peggio della media dei cittadini del terzo mondo. Successivamente l’inasprimento fiscale, non potendo togliere a chi non ha più nulla, si rivolgerà a quel ceto medio-alto che oggi si ritiene al sicuro e se ne infischia degli altri.
Il pensiero unico politicamente corretto ha creato dei guasti tremendi: nessuno ha il coraggio nemmeno di ipotizzare la vera soluzione dei problemi ma si prospettano aggiustamenti provvisori solo per dare fumo negli occhi, assolutamente inadeguati alla gravità dei momenti che andremo a vivere. Si spera che col tempo la gente si abitui alle sempre maggiori ristrettezze senza ribellarsi e comunque si rimanda la resa dei conti guadagnando tempo fino a che sarà impossibile una reazione per l’indebolimento generale del sistema.
L’abbassamento degli stipendi, attraverso forme di dannosissimo precariato, con l’innalzamento a sessantacinque anni delle pensioni per le donne e la distruzione dello Stato Sociale, non possono in futuro farci superare lo spaventoso dislivello fra i nostri costi e quelli dei paesi che ci fanno concorrenza. Ottocentomilioni di contadini cinesi, che aspirano a diventare operai dell’industria, assicurano per decenni un bassissimo costo del lavoro nel loro paese.
Occorre anche dire che la situazione interna della Cina evidentemente ha particolarità uniche, è al di fuori del circuito produttivo e commerciale del resto del mondo e non è raffrontabile per nessun verso con quella delle altre nazioni. Quindi l’Europa, col libero mercato, è indotta dagli Stati Uniti a condurre una guerra perduta in partenza che avrà come risultato finale un suo forte ridimensionamento politico, economico e sociale.
Gli Stati Uniti stanno giocando il tutto per il tutto per la propria sopravvivenza e cominciano con il sacrificare il nostro continente mentre si aggrappano al fatto che la Cina accetta ancora propri buoni del tesoro certamente inesigibili. Fino a che durerà.
In questa drammatica situazione economica le burocrazie italiana ed europea prepotenti, ottuse ed autoritarie, si dilettano a far applicare le leggi nel modo più restrittivo possibile prendendosi il potere di imporre spese enormi alla comunità ed ai singoli.
Mentre altri paesi seri come la Svizzera, la Germania, la Francia hanno un corpus di circa diecimila leggi, in Italia una ditta specializzata, incaricata di fare un censimento delle normative, ha lasciato l’incarico quando ha raggiunto le centomila.
Tali leggi vengono emesse da un legislativo che ha “perso la testa” avviandosi sulla via della confusione, della demagogia, della infinita creazione di leggi, leggine, regolamenti più o meno inutili e spesso, in pratica, non applicati. Mi riferisco in particolare alla legislazione sull’edilizia, sul traffico, sulla sicurezza, ai regolamenti attinenti i condomini, all’adeguamento degli impianti elettrici che non hanno creato incidenti domestici, o in uffici, scuole o altri ambienti in numero tale da imporre spese di miliardi alla comunità e di migliaia di euro ai singoli. Tali costi non ce li possiamo permettere.
Un esempio è la normativa antincendio praticamente copiata dal modello anglo-americano che è previsto per case principalmente in legno o altri materiali non resistenti al fuoco e non per case in muratura come da noi.
Il pensiero politicamente corretto, imposto dalle centrali culturali americane (contigue a quelle finanziarie) non vuole nemmeno esaminare la possibilità di introduzione di dazi doganali, quali che siano, da studiare a protezione del nostro lavoro.
Quali sono, quindi, i motivi per cui questa crisi dovrebbe in futuro terminare nessuno lo spiega ed essa non terminerà se non si prenderanno provvedimenti giusti e radicali.
Si insiste infatti nell’espandere il cosiddetto libero mercato che per l’Europa è un suicidio a rate, con il corollario di privatizzazioni cioè svendite delle proprietà e delle attività statali. Invece si dovrebbe studiare la storia e vedere che la crisi del 1929 in Italia fu attenuata, al contrario, con le nazionalizzazioni delle banche e delle aziende in fallimento per salvare il lavoro ed il potenziale produttivo dalla rapacità e dalle manovre finanziarie a danno dei cittadini. In Germania fu seguita la stessa strada con strabilianti risultati economici come il riassorbimento di quattordici milioni di disoccupati, l’impianto di industrie fiorentissime di ogni genere e la costruzione di opere pubbliche grandiose.
Con le liberalizzazioni i privati imporranno costi aggiuntivi sui prodotti e sui servizi da loro gestiti, perché, a differenza dello Stato, vorranno aggiungere il loro guadagno e non mi sembra che brillino per moderazione nelle loro esigenze. Che fine ha fatto la diminuzione dei prezzi che la concorrenza fra privati avrebbe dovuto portare con le privatizzazioni? Quali prezzi sono diminuiti per i consumatori?
Le manutenzioni di impianti e macchinari, poi, non vengono effettuate per perseguire un maggiore guadagno. La situazione economica dunque si aggraverà in assenza di decisioni contro la crisi.
In conclusione chi parla di privatizzazioni, di libero mercato, di globalizzazione dovrebbe essere messo alla gogna come potatore di miseria ai nostri connazionali. Non voglio, infatti, credere che sia talmente stupido o ingenuo da non capire il danno che tali progetti comportano.
Per fermare la crisi non si può prescindere da alcune decisioni di base, fra le quali ne elencherò alcune: diversamente stiamo assistendo ad una rovina irreversibile dell’economia europea.
riappropriazione del potere di emettere moneta da parte degli Stati per eliminare la sovrastruttura parassitaria del debito pubblico verso chi crea denaro dal nulla, lo impresta ad interesse alle comunità e ne pretende la restituzione in beni reali.
Nazionalizzazione delle grandi banche. Un esempio storico dei possibili risultati di questo provvedimento si potrebbe avere studiando, come citato, l’economia dell’Italia e della Germania negli anni trenta.
Controllo dei movimenti dei capitali speculativi che impazzano da una parte all’altra del pianeta:
Austerità nei consumi contro ogni forma di sfrenato consumismo dannoso alla salute ed all’ambiente.
Riordinamento delle leggi, ridimensionamento della burocrazia riorganizzazione del lavoro a partire dalla scelta, ad ogni livello, delle persone sotto l’aspetto delle capacità individuali, del merito, delle qualità morali (Stato Etico)
Compartecipazione agli utili ed alla gestione delle imprese secondo quanto previsto dal modello della socializzazione della prima metà degli anni quaranta, opportunamente adeguato ai nostri tempi sotto l’aspetto dei cambiamenti della tecnica e socio-culturali avvenuti.
Diversamente la crisi non potrà terminare e continuerà ad aggravarsi abbassando all’infinito e sempre più drasticamente il tenore di vita delle popolazioni del vecchio continente mentre i prestiti bancari ad usura faranno perdere le proprietà e toglieranno la libertà alla nostra gente.



Articolo di Giuseppe parente



Nella millenaria storia dell’uomo vi sono stati sicuramente tanti regimi feroci e sanguinari, che hanno provocato dolori e lutti, ma i comportamenti dei loro uomini di potere non sono nulla rispetto alla ferocia e alla spietatezza della dittatura del “libero mercato”.
Esiste una differenza profonda tra i dittatori e la dittatura del libero mercato, costituita dal fatto che i primi, essendo uomini in carne e ossa, potevano essere sconfitti da altri uomini, mentre quel che si definisce “libero mercato” è un meccanismo anonimo, impersonale che chiede ogni giorno sacrifici alla quasi totalità della popolazione mondiale.
La classe politica e la società civile per rendere omaggio a questo mostro hanno perso tutto, dignità, libertà, valori e ogni esigenza che non sia materiale.
Un operaio dello stabilimento della Fiat di Pomigliano d’Arco, al quale era stato chiesto il perché avesse votato “sì” ad un accordo penalizzante per i lavoratori dello stabilimento ha risposto in maniera malinconica e diretta che “così è il mercato”.
Infatti, nel nome delle sue necessità inderogabili, si accettano lavori da schiavi e si ringrazia pure, in ossequio al vecchio proverbio che dice “o mangi questa minestra o ti butti dalla finestra”. Gli economisti sostenitori del libero mercato ci ricordano come il mercato sia sempre esistito dalla nascita dell’uomo ai giorni nostri, ma per amore della verità, ribattiamo ai fautori del libero mercato che per migliaia di anni l’unica forma possibile di scambio è stato il dono e il contro dono poi evolutosi nella figura del baratto puro, mentre in epoca moderna notiamo una differenza abissale tra il capitalismo commerciale e il capitalismo industriale.
Il capitalismo commerciale opera sull’esistente, su una domanda che già esiste, mentre il capitalismo industriale, per prima cosa dilata enormemente l’offerta dei beni esistenti, poi, grazie allo sviluppo della tecnologia, crea bisogni che nel passato nessuno aveva.
Il capitalismo industriale a differenza del capitalismo commerciale ha una straordinaria vitalità e un grande desiderio di espandersi, in senso geografico, conquistando nuovi orizzonti e in senso verticale, non limitandosi a trasferire beni, ma pensando addirittura a crearne di nuovi.
In questo contesto, in cui l’offerta crea la domanda, nasce il consumatore moderno, amante delle produzioni di massa di ciò che è banale, futile, inutile.
Da giovane mi sono divertito, giocando al pallone con gli amici, anche se campi improvvisati nelle piazze del centro storico di Napoli, ho giocato al biliardino e a tanti giochi improvvisati, quanto divertenti, li abbiamo inventati noi, non avevamo mica il telefonino cellulare Gsm, non avevamo mica il lettore mp4 o l’accesso ad internet, per poi utilizzare il noto social network di facebook. Eppure siamo sopravvissuti lo stesso, non potranno dire lo stesso i giovani che oggi sono compresi nella fascia d’età che va dai 14 ai 18 anni, schiavi della tv, di internet, di facebook.
La dittatura del libero mercato, ha anche altre e ben più gravi conseguenze, se pensiamo che il prezzo dei beni superflui diminuisce vertiginosamente mentre viceversa il prezzo dei beni di prima necessità aumenta in maniera costante e veloce. Grazie al libero mercato, oggi è possibile con meno di € 50, da qualsiasi aeroporto italiano, raggiungere la Spagna o l’Inghilterra, ma con la stessa banconota da € 50 non si riesce a riempire un carrello al supermercato con prodotti di prima necessità.
Viviamo in una società, dove il superfluo è ritenuto necessario e siamo diventati schiavi di uno strano meccanismo che ci ha trasformato da uomini, in consumatori delle inutilità che altrettanto rapidamente abbiamo prodotto.

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