martedì 15 febbraio 2011

Cavalieri, maggiordomi e gnomi della City ( articolo di Filippo Ghira - Rinascita )


Il seguente articolo, è a firma di Filippo Ghira - Rinascita.

Come ai tempi di Mani Pulite nel 1992 la Gran Bretagna e i suoi ambienti finanziari non perdono il vizio di voler entrare a gamba tesa nelle vicende italiane. Il Mediterraneo per la City e per i suoi maggiordomi politici (conservatori, laburisti e liberali che siano), è sempre stato visto come un cortile di casa nel quale fare sentire con forza la propria presenza. Dalla crociera del Britannia del 2 giugno 1992 da Civitavecchia all’Isola del Giglio (collocata guarda caso a mezza strada tra le due stragi in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) fino alla speculazione contro la lira dell’autunno seguente, partita appunto da Londra, che portò alla svalutazione del 30% della “nostra” moneta sul dollaro e sulla sterlina.
A dettare le danze e a suggerire il copione, forse già scritto o ancora da scrivere, è il quotidiano ufficiale dell’establishment finanziario britannico. Quel Financial Times che insieme al confratello, il settimanale Economist (entrambi di proprietà del gruppo Pearson), sono specialisti nell’indicare a chi di dovere i bersagli da colpire nei governi ritenuti “poco amici” degli interessi britannici e a suggerire i possibili loro sostituti. Si deve ricordare ad esempio che nel febbraio del 1978, l’Economist pubblicò una profetica copertina nella quale Aldo Moro era rappresentato come un burattino mosso da fili manovrati da un burattinaio ignoto, il tutto accompagnato dal titolo (in italiano): “E’ finita la commedia”. Quel Moro che stava lavorando ad un governo sorretto dall’appoggio esterno del PCI e che come tale destabilizzava gli equilibri internazionali e disturbava gli interessi americani, britannici e israeliani nel Mediterraneo. Poi infatti vennero Via Fani e Via Caetani…
Se nel 1992 poi l’obiettivo erano la DC (Andreotti) e il PSI (Craxi) da spazzare via insieme al sistema italiano di economia mista per essere sostituiti al potere da un PCI trasformato nel socialdemocratico PDS di Occhetto, legittimato a governare in cambio dell’avvio del processo di privatizzazioni, oggi l’obiettivo è rappresentato dal ruolo svolto dall’Italia in campo energetico sullo scacchiere internazionale. E considerato che alla guida della maggioranza e del governo c’è Silvio Berlusconi, che ha l’imperdonabile colpa di avere sottoscritto proficui contratti di fornitura di gas e di petrolio con la Russia e con la Libia, in chiave europea e non più “atlantica”, ecco che è il Cavaliere a finire sotto tiro. Certo Berlusconi ci ha messo molto di suo per finire sotto accusa, con alcuni suoi uomini condannati per avere aggiustato certe vicende giudiziarie. E con i bunga bunga party e la lunga serie di mignotte e sgallettate varie che hanno affollato Villa Certosa, Villa Casati Stampa e si dice pure Palazzo Grazioli. Ma se si pensa che le analoghe attività di Bill Clinton svolte in ufficio pubblico, come la Sala Ovale della Casa Bianca, hanno suscitato soltanto commenti ironici in Gran Bretagna, è lecito interrogarsi se Berlusconi non rappresenti il vero obiettivo e se in realtà la sua auspicata caduta, non solo dalla City ma anche da Wall Street sia soltanto il mezzo per arrivare ad altro. Anche in considerazione di quello che per il FT sarebbe il candidato ideale alla successione e cioè Mario Draghi. Il governatore della Banca d’Italia è attualmente anche presidente del FSB (Financial Stability Board), l’organismo incaricato di monitorare gli squilibri del mercato finanziario internazionale e di segnalarli ai governi e alle banche centrali. Un monitoraggio che non fu però in grado di vedere a sufficienza l’arrivo della tempesta finanziaria del 2007-2008, innescata tra l’altro dalle speculazioni di banche come la Lehman Brothers e la Goldman Sachs. Per la cronaca, prima di approdare a Via Nazionale nel gennaio 2006, Draghi fu vicepresidente per l’Europa appunto della Goldman Sachs, la banca anglo-americana che negli Usa il cittadino comune considera il simbolo stesso della speculazione finanziaria. Mentre nel 1992 era direttore generale del Tesoro. Come tale fu incaricato di sovraintendere al processo di privatizzazione delle imprese pubbliche. Chi meglio di lui, afferma il FT, per guidare il dopo Berlusconi?
Per il Cavaliere, il quotidiano inglese, utilizzando un editoriale intitolato in italiano “Arrivederci Silvio”, non esita a intonare il De Profundis. Sette anni fa, osserva il FT, Berlusconi era da considerare “tecnicamente e politicamente immortale”. Ma oggi la sua carriera ha perso questa sua aura e certamente è destinata a concludersi un giorno. Anzi, insiste il FT, “sarebbe meglio per la Nazione e per l'Unione europea che questo momento arrivi ora piuttosto che più avanti”. Incredibile è semmai il riferimento all’Unione europea considerato che viene espressa dal quotidiano di un Paese che vi crede così poco da avere sempre rifiutato di entrare nel sistema dell’euro… Il FT ironizza poi sul Cavaliere che si definisce vittima delle persecuzioni della Sinistra e dei giudici comunisti che sarebbero a suo dire autori di un tentativo di colpo di Stato, ma osserva il quotidiano britannico, sono poche le democrazie dove un primo ministro coinvolto in simili vicende non rassegni le proprie dimissioni “per risparmiare difficoltà al suo governo ed al Paese”. Come, potremmo ipotizzare noi, forti dell’esperienza del passato, una bella speculazione della City contro i nostri titoli di Stato…
Colpito e seppellito Berlusconi, il FT arriva al dunque e afferma che l'Italia ha “molti funzionari pubblici di valore, escluso Berlusconi”. Tra questi, il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che, ricordiamo noi, negli anni Settanta era l’unico esponente del PCI ricevuto senza problemi negli Stati Uniti. E ovviamente Mario Draghi. Entrambi, “fanno onore al loro Paese e rappresentano al suo meglio la Nazione”. Lo stesso non si può dire di Berlusconi, il cui rifiuto di fare l’unica cosa giusta, cioè dimettersi, non è altro che “una vergogna”.
Ora e sempre Mario Draghi dunque. Per il quale l’incontentabile FT, se non si realizzasse l’auspicio della guida di un “governo tecnico”, vedrebbe bene anzi benissimo la guida della Banca centrale europea. Si noti l’assurdità di un quotidiano inglese che suggerisce il nuovo presidente per una istituzione di cui la Gran Bretagna non fa parte. E senza nessuno dei Paesi che contano, Germania e Francia in testa, sappia o voglia rispondergli per le rime. Draghi, insiste il FT, andrebbe benissimo per la BCE ora che è venuta meno la candidatura di Axel Weber, attuale presidente della Bundesbank per la successione al francese Jean Claude Trichet. Draghi risponderebbe  a tutti i requisiti richiesti dall'incarico. E’ un esperto economista, conosce il sistema finanziario globale, ed è abituato a trattare con politici difficili. Ma purtroppo, deve ammettere il FT, che paventa la nomina di un candidato di secondo ordine, Draghi ha un punto debole, il fatto di essere italiano e il cancelliere Angela Merkel non può proporre ai tedeschi un banchiere centrale italiano. In realtà l’handicap principale di Draghi sta nell’essere considerato troppo legato al mondo finanziario anglo-americano. E in una fase storica in cui si annunciano contrapposizioni feroci tra America, Europa (esclusa la Gran Bretagna) ed Asia con le rispettive monete a rischio di sopravvivenza, né la Germania né la Francia, le prime due potenze economiche continentali, possono nutrire la voglia di affidare la tutela della moneta comune ad un funzionario come Draghi, che è di cultura finanziaria anglosassone.
Da parte sua il governo di Berlino, che dopo il francese Trichet pretende un connazionale, ha fatto sapere ieri che la guida della BCE non è una questione di passaporto. Quello che conta, si insiste da Berlino, è l'impegno per un euro stabile e contro il ritorno dell'inflazione, due questioni che stanno da sempre a cuore al mondo politico ed economico tedesco.

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